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Evidence Based Medicine, più tutto il resto: È la stampa, bellezza; Farmacista & Cittadino; Meno tasse per tutti...

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Località: Italy

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20 luglio 2006

Farmacista & cittadino
In Farmacia, il comunismo entra dalla porta di servizio (pubblico)

Il Codacons, «associazione dei consumatori, stigmatizza lo sciopero indetto per domani dai farmacisti, e promette denunce per interruzione di pubblico servizio, oltre al boicottaggio delle farmacie di tutta Italia per giovedi' 20. 'Se i farmacisti abbasseranno domani le serrande li denunceremo per interruzione di pubblico servizio - scrive l'associazione in una nota- e chiederemo alle singole Regioni di valutare il ritiro delle licenze nei confronti delle farmacie ribelli, in relazione all'inadempimento del servizio.»
(fonte: qui e qui).

Riordiniamo le idee: la farmacia – l’unico luogo, fino a Bersani, in cui lo Stato consentiva la vendita di principi attivi medicamentosi – è un pubblico servizio. I farmacisti (imprenditori privati che, su concessione dello Stato, servono la sanità pubblica sul territorio) hanno sempre “spalmato” i loro guadagni sulla vendita di tutti i medicinali (oltre che sul parafarmaco, ecc.). Ora: 1) si vuole far uscire il farmaco da banco per farlo andare nei supermercati (da quando i supermercati sono un pubblico servizio?); 2) già da tempo i margini sul farmaco dispensato dal SSN sono forzosamente, costantemente diminuiti “a monte”; 3) i turni sono svolti gratuitamente); 4) i nuovi servizi telematici vengono svolti dai farmacisti “pro bono”. Insomma, non si capisce più: i farmacisti devono erogare un servizio in modo completamente gratuito? Dobbiamo lavorare gratis?

C’è poco da fare, la tendenza storica internazionale preme in due direzioni: l’instaurazione surrettizia del comunismo (sebbene con un altro nome) e l’espansione – a tutti i livelli – del metodo e del potere mafiosi.

Per quanto riguarda il comunismo: questo di adesso, in Italia, è un governo di sinistra, che – facendosi scudo con slogan populisti tipo “nell’interesse del cittadino” e “per liberalizzare il Paese” (chi osa opporre resistenza a iniziative che beneficano il cittadino?) – vuole spazzare via il ceto medio e trasformare i piccoli imprenditori in salariati: sono più facilmente ricattabili ed eseguono gli ordini dall’alto.

Lo vediamo con i tassisti, che sono come una cartina di tornasole. Ogni volta che un qualsiasi governo tocca il “sistema taxi”, ecco la proposta di consentire a un soggetto di avere un numero illimitato di licenze: si apre la strada a grandi aziende ricche di capitale, che – grazie all’ingente liquidità – comprano licenze; assumono autisti salariati e li pagano poco; offrono prezzi bassi al “mercato”, così spazzando via i piccoli padroncini che non hanno voluto vendere le loro licenze; i gruppi rimasti fanno “cartello” (che nessuna antitrust andrà mai a disturbare) e rialzano i prezzi, al livello di “prima della riforma”, se non più alti.
Ecco a voi il comunismo, travestito, che sfrutta il capitale per cancellare il ceto medio. Il buon vecchio Carlo Marx non avrebbe saputo immaginare di meglio. Non c’è più intermediazione: i politici prendono soldi (alla luce del sole, come normali “contributi alla politica” – siedono nei Consigli di amministrazione – ricevono laute parcelle per consulenze – partecipano come soci al capitale delle aziende) dai grandi gruppi economici; usano i mezzi di comunicazione di massa (di proprietà degli stessi gruppi economici) per farsi propaganda e rimanere al potere. Usano il potere, fine a sé stesso, per perpetuarsi e per mantenere – con la forza delle leggi “democratiche” (la DDR era la Repubblica Democratica Tedesca, no?) le posizioni dominanti raggiunte dai gruppi economici. Il cerchio si chiude.
I tassisti lo sanno bene, infatti fino a questo momento sono sempre riusciti a bloccare la facoltà di accumulo di più licenze da parte di un solo soggetto. Ma quanto saranno in grado di resistere ancora?

Lo stesso vale per noi farmacisti. Siamo destinati a diventare tutti salariati di alcuni (pochi) grandi gruppi, che avranno molto più potere contrattuale di Federfarma nei confronti del potere pubblico. Aumenteranno i concittadini morti per abuso di farmaci, ma chissenefrega. Aumenterà la spesa pubblica per ricoveri da uso improprio di medicine, ma tanto paga Pantalone.

Se lo sciopero non basta a difendere il principio di “un farmacista una farmacia”, perché non rimettere in discussione tutto quanto, fintanto che abbiamo un po’ di forza elettorale e contrattuale? Ripeto, sembra che dobbiamo assicurare un servizio pubblico sempre e comunque, senza contropartite. Se esce il reddito degli OTC, cambiano (in modo a noi sfavorevole) le regole del gioco. Se le regole del gioco cambiano, cambiamo modo di giocare: disdiciamo la convenzione SSN, passiamo all’assistenza indiretta e riscriviamo il contratto: facciamoci pagare tutto: turni, Tariffa Nazionale, prestazioni informatiche di prenotazioni esami ecc., distribuzione in nome e per conto… E facciamoci togliere l’ONAOSI…

18 luglio 2006

È la stampa, bellezza
I miei morti sono più uguali dei tuoi

Scrive Beppe Grillo, nel suo post di oggi:

«Caro Grillo, sono Nicola Migliorino professore all' Università di Exeter, invio alcune foto spedite da Hanady Salman, un giornalista di As-Safir (quotidiano di Beirut), con questo messaggio:

"Cari amici e colleghi,
dovete scusarmi per le foto che vi invio. Sono immagini di bambini uccisi da Israele nel Libano del sud. Sono completamente bruciati. Ho bisogno del vostro aiuto. Sono abbastanza certo che queste foto non saranno pubblicate in Occidente, sebbene siano Associated Press pictures. (...)» (N.B. Sono pubblicate tre foto di bambini libanesi morti).

Caro Beppe,
visito regolarmente il tuo sito, sei una delle poche voci fuori dal coro.
Passiamo al post di oggi: bella lettera, belle foto.
Detto questo: foto di israeliani ammazzati dai missili di Hezbollah non ne hai da pubblicare?

Meno tasse per tutti
Draghi: «Con più tasse si blocca la crescita»

Il Giornale, n. 168 del 18-07-2006 pagina 13

Il governatore di Bankitalia non si sbilancia sul Dpef ma avverte: «Bisogna tagliare la spesa su enti locali, sanità e pubblico impiego»

Biggeri (Istat): «Verso una forte ripresa economica». Decreto Bersani, governo pronto a porre la fiducia

Gian Maria De Francesco

da Roma

Il governo è pronto a «blindare» il decreto Bersani-Visco in Parlamento ricorrendo alla questione di fiducia. Lo ha annunciato ieri il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Vannino Chiti, mentre le commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato erano impegnate in un’audizione del governatore di Bankitalia, Mario Draghi. «La manovra è per noi decisiva e se sarà necessariala fiducia, la porremo senza battere ciglio», ha affermato Chiti ricordando che in commissione Bilancio al Senato sono stati presentati oltre 1.100 emendamenti (550 solo dall’Unione). E vista l’esigua maggioranza, ancora una volta la soluzione prospettata è quella che consente di bypassare un tormentato dibattito parlamentare.
Le parole del ministro diessino hanno assunto una rilevanza ancora maggiore perché pronunciate in contemporanea con l’audizione di Mario Draghi sulle previsioni del Documento di programmazione economica e finanziaria (Dpef). Il governatore non si è sbilanciato in un giudizio di merito, ma ha indicato alcune priorità ineludibili per la politica economica.
«Per incidere sulla dinamica delle spese primarie correnti - ha rilevato Draghi - sono necessarie riforme in grado di innescare cambiamenti nei comportamenti degli utenti e dei centri di spesa che consentano significativi recuperi di efficienza nella fornitura dei servizi pubblici». L’unica strada percorribile, secondo il governatore, è «affrontare con misure strutturali i quattro principali comparti di spesa»: sanità, pensioni, enti locali e pubblica amministrazione. Prioritario quindi è «rafforzare il legame fra responsabilità di spesa e copertura finanziaria» della spesa sanitaria delle Regioni. In secondo luogo, l’innalzamento dell’età pensionabile e lo sviluppo della previdenza complementare possono «rendere sostenibile il sistema previdenziale. In ultima istanza, sono necessari tanto il monitoraggio delle spese della pubblica amministrazione quanto la fissazione di nuove regole che vincolino gli enti pubblici al pareggio di bilancio al netto degli investimenti.
Insomma, un’analisi asettica di un Dpef «che va nella giusta direzione» in attesa della prossima Finanziaria. Su un punto Draghi ha utilizzato un’inaspettata sfumatura tremontiana. «Ci sono alcuni - ha sostenuto - che ritengono che più tasse equivale a più crescita. Io invece sono convinto che a meno tasse corrisponde maggiore crescita». Il governatore ha affermato che «va avviato con decisione un processo di graduale riduzione della pressione fiscale», ma prima «bisogna recuperare base imponibile e ridurre la spesa primaria» pena «ulteriori interventi di inasprimento del prelievo». Una posizione non distante dagli auspici del ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa. Al quale è stato rivolto un invito al rigore e al rispetto degli impegni a riportare sotto il 3% il rapporto deficit/pil. E anche il presidente dell’Istat, Luigi Biggeri, in un’audizione ha sottolineato che «ci sono le basi per il rafforzamento della ripresa economica nella restante parte dell’anno». L’appoggio più entusiasta alle parole di Draghi è giunto dal presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo. «Totale sintonia» su tagli alle spese e innalzamento dell’età pensionabile. Alla sponda confindustriale ha fatto da contraltare il ressentissement della sinistra radicale. «È inaccettabile la politica dei sacrifici», ha tuonato il capogruppo alla Camera del Prc, Gennaro Migliore. «Non sia Montezemolo a dettare la linea economica del governo», ha detto Dino Tibaldi del Pdci. Padoa-Schioppa lo aveva detto. In materia di welfare «è ancora possibile» che il governo possa cadere sotto gli strali dell’estrema sinistra.

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Ripetiamo tutti insieme: (...) «Ci sono alcuni - ha sostenuto - che ritengono che più tasse equivale a più crescita. Io invece sono convinto che a meno tasse corrisponde maggiore crescita». Il governatore ha affermato che «va avviato con decisione un processo di graduale riduzione della pressione fiscale» (...)

Bravo Governatore! Basta con le tasse! Non se ne può più!

15 luglio 2006

Farmacista & cittadino
Inneggiare alle liberalizzazioni può costare lettori, il caso del Sole

Tratto da “Il Foglio”, di sabato 15 luglio 2006, pagina 3

(L’articolo, riportato integralmente, è un po’ lungo. Non è firmato, come tradizione del quotidiano. Le mie considerazioni sono in fondo)

Inneggiare alle liberalizzazioni può costare lettori, il caso del Sole

«Roma. Quarantamila tassisti agitati e pronti allo sciopero il 25 luglio, sessantamila farmacisti che hanno organizzato una serrata per il 19, quattromilacinquecento notai che sin dalla primavera hanno tentato una campagna mediatica fatta di costose pagine pubblicitarie per difendersi preventivamente dall’attacco comunista sul regime d’acquisto dei motorini usati, e centoventimila avvocati che hanno indetto una protesta di dodici giorni. Titolo del Corriere della Sera di ieri: “Liberalizzazioni, gli avvocati processano Ichino: proposto un ricorso all’Ordine con la richiesta di provvedimenti disciplinari”. Il caso degli avvocati è molto interessante, per l’eco che sta provocando su alcuni grandi giornali. Che cosa sta succedendo infatti al Sole 24 Ore, nei quotidiani finanziari del gruppo Class, sulla vicenda dello sciopero degli avvocati contro il decreto Bersani? Accade che nelle redazioni si siano accorti che le corporazioni hanno un peso, comprano gli spazi pubblicitari e decine di migliaia di copie (in abbonamento). Così se qualcuno scrive che, sì, in effetti gli avvocati e pure i tassisti godono dei vantaggi del sistema corporativo, immediatamente le categorie reagiscono. Era accaduto ai primi di luglio al Sole 24 Ore, dove un articolo di uno degli editorialisti di punta del giornale, Franco Locatelli, entusiasta del decreto Bersani, lodava l’azione del ministro. Un paio di giorni dopo, ecco arrivare il cambio (parziale) di rotta, con un editoriale del direttore De Bortoli, che introduce, sulla questione liberalizzazioni, un elenco di “giusto ma, però”. Al Sole erano rimasti un po’ disorientati dalle numerose pressioni esercitate dagli ordini professionali che con i loro abbonamenti, rappresentano per il quotidiano confindustriale circa il 40 per cento delle copie vendute, cioè oltre 150.000 copie giornaliere.
Diverso il caso del Corriere della Sera. Tre giorni fa, l’editoriale di Pietro Ichino in prima pagina ha scatenato l’ira degli avvocati. Argomentava Ichino: “Strano sciopero, questo degli avvocati. Uno sciopero che non produce perdite per chi lo pratica e neppure per il suo datore di lavoro ma fa danno soltanto a soggetti terzi”. Per capirci, uno sciopero della fame che si interrompe all’ora di pranzo. Gli avvocati, sempre attenti alla stampa, hanno letto e si sono arrabbiati. Via Solferino è stata letteralmente tempestata di telefonate e di lettere di legali, fuori di sé per la posizione di Ichino. Si è mossa anche il presidente dell’Organismo unitario dell’avvocatura italiana, Michelina Grillo: “A favore del decreto Bersani – ha scritto al Corriere – si sono schierati famosi cattedratici, che ne hanno illustrato i miracolosi effetti. A fianco della potente lobby degli avvocati, invece, c’è un silenzio assordante”.
Il Corriere della Sera ha resistito, e nella rubrica “Interventi e Repliche” ha provato a far emergere la linea del dissenso tra gli avvocati pubblicando, ieri, una lettera del signor Marcello Mustilli, legale in Rima, il quale sottoscrive “ogni parola di Pietro Ichino”, lamentandosi “che sul giornale finisce solo chi fa gli scioperi”. Niente da fare: dopo l’uscita della lettera del dissidente, i centralini sono stati ingolfati dalle telefonate di protesta, naturalmente degli avvocati. In Italia va così, togli una virgola e gridano alla rivoluzione.
Nella speranza che la politica regga l’urto delle corporazioni, anche la stampa può organizzare una resistenza attiva. Forse bisognerebbe seguire un lontano esempio del Wall Street Journal, un caso che viene insegnato nelle scuole di giornalismo anche da noi. Eccolo: anni fa capitò che la General Motors, la prima casa automobilistica del mondo, non gradisse alcuni servizi apparsi sul foglio economico americano, non parlavano bene dell’azienda. Per rappresaglia, nel giro di pochi giorni, i dirigenti della Gm revocarono tutte le inserzioni pubblicitarie dal WSJ. Il giornale non si lasciò intimidire e spedì a Detroit, sede della General Motors, i migliori cronisti investigativi che cominciarono a indagare sul gigante dell’auto, spulciando il lavoro svolto dalla casa automobilistica. Inchieste quotidiane venivano pubblicate sul WSJ con disastrosi ritorni d’immagine per la Gm. Poche settimane dopo la General Motors ricomprò gli spazi pubblicitari sul giornale. Gli avvocati e i tassisti sono avvertiti: non vadano a Detroit.»


L’articolo in questione mi ispira due considerazioni:
1 – i farmacisti non si fanno sentire: non ingolfano i centralini dei giornali, non scrivono lettere di protesta, non sospendono l’acquisto dei giornali che pubblicano articoli non graditi;
2 – il giornale (che, ricordo, tra i proprietari annovera la seconda moglie di Silvio Berlusconi) manda a dire (ad avvocati, farmacisti, notai, tassisti) di non rompere, pena la pubblicazione di inchieste quotidiane, con disastrosi ritorni d’immagine.

Chiudo con due domande, ai colleghi e a chi rappresenta la categoria: siamo proprio sicuri che la scelta di subire in silenzio, subire sempre, sia la scelta migliore? Non abbiamo strumenti di risposta?

12 luglio 2006

Farmacista & cittadino
Concorrenza sleale

Per quello che vale, il Codice Deontologico dei farmacisti (tra le varie fonti, scelgo questa: http://darimar.altervista.org/farmacia/codice.htm) recita:

ARTICOLO 15
(..)
2- Il distintivo professionale deve essere utilizzato solo dagli iscritti all'Albo che esercitano la professione nelle strutture pubbliche o private ove è prevista la figura del farmacista.
3- Il titolare o il direttore di farmacia pubblica o privata deve curare che il camice bianco sia prerogativa esclusiva del farmacista.

ARTICOLO 19
1- E' competenza esclusiva del farmacista effettuare personalmente la spedizione della ricetta nonché consegnare al cliente il farmaco, anche se non assoggettato a ricetta medica.
2- Costituisce grave abuso e mancanza nell'esercizio della professione consentire o tollerare la dispensazione di farmaci da parte di non farmacisti nell'ambito delle farmacie aperte al pubblico, ospedaliere e nei presidi del Servizio Sanitario Nazionale.


Ci sono mai stati controlli? Hanno avuto qualche risultato?
Sento lamentele, specie a proposito dei titolari che consentono a personale non laureato di dispensare farmaci, e ho anche avuto esperienze personali.

Come può la categoria appellarsi alla propria professionalità, nelle trattative con l’interlocutore pubblico, quando al proprio interno prosperano situazioni di illegalità?

Non si tratta solo di una questione professionale: ci sono anche interessi economici. Un dipendente non laureato guadagna meno di uno laureato; la domanda di laureati resta più bassa, ciò ne modera le rivendicazioni salariali. Il titolare che impiega non laureati per svolgere il lavoro dei laureati avrà alla fine del mese più risorse economiche del vicino collega corretto, risorse impiegabili per concedere più sconti, avviare più promozioni, o per investirle in altro modo nella farmacia.

Se fossi il direttore di un giornale, mi piacerebbe condurre un’inchiesta “sul campo”: entrare in farmacia, scattare fotografie, intervistare clienti e colleghi…