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Evidence Based Medicine, più tutto il resto: È la stampa, bellezza; Farmacista & Cittadino; Meno tasse per tutti...

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31 ottobre 2007

«Troppi regali, ecco perché i medici sbagliano»

SYDNEY (31 ottobre) - Vacanze, automobili, ma anche iscrizioni dei figli a scuole private oltre a computer, congressi pagati e condizionatori d'aria: sono alcuni dei regali offerti dalle case farmaceutiche ai medici dei paesi in via di sviluppo con la conseguente errata prescrizione delle ricette nel 50% dei casi. Il rito della “ricompensa” sarebbe stato messo in piedi per compensare il calo dei profitti nei mercati occidentali e sarebbe riuscito a influenzare le prescrizioni mediche. La denuncia arriva da Consumers International, la Federazione di organizzazioni di consumatori in 115 paesi riunita a Sydney per il 18° congresso, che ha diffuso le cifre di questa scorretta pratica chiedendo una messa al bando globale di ogni genere di omaggio ai medici.

In un caso sembra che un medico in Malasya ha ricevuto in un mese più di 70 regali da diverse case farmaceutiche. Metà dei dottori intervistati ha ammesso di essere condizionato nel momento della prescrizione dalle pressioni ricevute dalle ditte dei medicinali.

Lo studio rivela inoltre che colossi come Roche, Gsk, Novartis, e Wyeth, approfittano della debole infrastruttura in alcuni paesi per imporre le loro marche nei corsi di aggiornamento medico, promuovere un uso improprio di farmaci ed omettere informazioni sugli effetti collaterali nelle pubblicità su riviste mediche. «L'industria farmaceutica vede il mondo in via di sviluppo come un'opportunità da trilioni di dollari per i prossimi 40 anni», ha dichiarato il direttore generale di Consumers International, Richard Lloyd. «La debolezza dei regolamenti fa di questi mercati un facile bersaglio, ma le spese per la salute dei consumatori in questi paesi non possono essere scialacquate con un uso irrazionale delle medicine. L'unica maniera per assicurare che i pazienti ricevano dai medici un trattamento razionale e imparziale è che i governi mettano al bando completamente la pratica dei regali», ha proseguito.

Tema del congresso, a cui partecipano più di 300 esperti e delegati di un centinaio di paesi, è quello di «obbligare le grandi compagnie alle loro responsabilità», e il programma si sviluppa lungo le attuali campagne della federazione: consumi sostenibili, pandemia di obesità, etica della promozione di farmaci, e credito al consumo.

La cosa curiosa è che la fotografia di accompagnamento del servizio non mostra un medico ma un farmacista!

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25 ottobre 2007

"Falce e carrello", e farmacie

Ho appena terminato di leggere il libro "Falce e carrello", di Bernardo Caprotti - il fondatore dell'"Esselunga". Editore Marsilio, prezzo di copertina 13,50 euro. 187 pp.

Cito testualmente da pagina 162:

Citazione:
Nonostante ciò che tutti proclamano, il rapporto privilegiato tra il “partito”, la politica e le Coop continua a sussistere. Ne è un esempio il primo “decreto Bersani”, quello che liberalizzò la vendita dei farmaci da banco nei supermercati. Una liberalizzazione mirata, giacché i vincoli imposti dalla normativa escludono di fatto dai benefici le catene come Esselunga.

La legge prevede infatti che i medicinali siano venduti in appositi reparti, separati dagli altri prodotti in commercio e ben identificabili, alla presenza di almeno un farmacista iscritto all’Ordine. Un obbligo che rende possibile l’apertura di questi spazi solamente in negozi di grandi dimensioni, in pratica soltanto negli ipermercati: una fascia di mercato in cui sono presenti primariamente le Coop.

L'obbligo della presenza del farmacista, poi, comporta l'assunzione di tre se non quattro persone, visto che nella grande distribuzione i punti vendita restano aperti sei giorni alla settimana su sette (in certi periodi anche la domenica) per 13 ore giornaliere. Federdistribuzione, la federazione che raggruppa gran parte delle aziende del settore, aveva chiesto al governo di fare una riforma vera, cioè di consentire di mettere in vendita senza alcuna intermediazione i farmaci da banco, come avviene da sempre nei Paesi stranieri. Niente presenza del farmacista, visto che quelle specialità sono di automedicazione, essendo state concepite per essere utilizzate senza l'intervento del medico.

Anche Federfarma, la federazione delle farmacie private, era d'accordo. Ma Bersani non tenne conto di queste richieste e decise di non eliminare il farmacista dai supermercati. Una scelta in linea con la bozza di legge predisposta proprio dalle Coop nel 2005, le cui proposte sono dunque state accolte in pieno. A che cosa è funzionale la presenza dei camici bianchi? Ci vuol poco a capirlo: fra qualche anno le Coop faranno pressione per trasformare questi reparti in farmacie vere e proprie, dove possano essere vendute tutte le specialità; si comincerà con la commercializzazione dei farmaci di fascia C. E così la liberalizzazione, a loro uso e consumo, sarà completa.


Più chiaro di così...

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15 ottobre 2007

In Italia farmaci meno cari che in Europa e Usa

ROMA (11 ottobre) - Anche se ogni volta che si va in farmacia sembra di spendere di più, i medicinali con obbligo di ricetta in Italia costano meno rispetto al resto d'Europa e molto inferiori agli Stati Uniti. I dati rivelazione arrivano da uno studio della Cergas Bocconi (Centro di ricerche sulla gestione dell'assistenza sanitaria e sociale), in collaborazione con Farmindustria. «I prezzi dei farmaci su prescrizione, introdotti dopo il 1990, in Francia, Inghilterra, Germania, Grecia e Spagna - sostengono gli autori dello studio - sono superiori fino al 42% rispetto a quelli italiani. Negli Usa costano più del doppio». Lo studio riguarda Italia, Francia, Germania, Spagna, Regno Unito, Grecia, Paesi Bassi e Stati Uniti e confronta i prezzi medi dei primi 300 principi attivi per fatturato e volumi di vendita dispensati nelle farmacie aperte al pubblico. Nelle nazioni considerate, salvo i Paesi Bassi, tali farmaci hanno prezzi al pubblico superiori a quelli italiani in percentuali che oscillano da dal +3% della Grecia, al +5% della Spagna, +8% del Regno Unito, + 12% della Francia e +42% della Germania per arrivare al +139% degli Stati Uniti. Unica eccezione, i Paesi Bassi dove i prezzi sono inferiori del 21% rispetto all'Italia.

Quanto invece ai prezzi che l'industria pratica alla distribuzione risultano ovunque superiori all'Italia: si va dal +11% della Francia, al +12% della Spagna, +14% dei Paesi Bassi, +18% di Grecia e Regno Unito, +25% della Germania fino al +183% degli Usa. «Il posizionamento dell'Italia rispetto ai prodotti lanciati sul mercato dal 1990 è molto chiaro ed è, almeno in parte, frutto delle misure sistematiche di taglio dei prezzi degli ultimi anni», spiega Claudio Jommi, responsabile dell'Osservatorio farmaci del Cergas Bocconi e coordinatore della ricerca.

«È importante sottolineare come lo studio sui prodotti lanciati dopo il 1990 abbia considerato diversi indici di prezzo, diverse ipotesi di estrazione dei dati, diverse modalità di conversione dei prezzi, ad esempio considerando il potere di acquisto delle diverse valute: il risultato però non cambia».

Lo studio «non ci coglie di sorpresa - spiega Sergio Dompè, presidente di Farmindustria - e conferma quanto le imprese del farmaco sostengono da tempo: cioè che i prezzi dei medicinali in Italia sono tra i più bassi in Europa. Un 'primatò negativo che si riflette - non poco - sulla competitività delle aziende operanti nel Paese. Per puntare in alto - ammonisce - la ricerca ha bisogno di regole certe e stabili e di politiche dei prezzi in linea con quelle europee, che riconoscano il valore degli investimenti e dell'innovazione. Recuperare questo gap è possibile. È necessario però fare presto per non perdere il treno nella corsa per la competitività. Prendere quello successivo significherebbe infatti arrivare drammaticamente tardi».

Fonte: Il Messaggero

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